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Quali sono le caratteristiche del giornalismo italiano nel 2018?
In sintesi, autonomo (ma sarebbe meglio dire precario), vecchio e un po’ più femminile rispetto a vent’anni fa.
Dal 2009 i giornalisti autonomi, ovvero coloro che lavorano attraverso collaborazioni coordinate e continuative senza vincolo di subordinazione, hanno superato i giornalisti dipendenti puri, quelli che hanno un rapporto di lavoro subordinato regolato dal Contratto nazionale di lavoro giornalistico. Quest’ultimi dal 2015 rappresentano solo il 27% del totale e la percentuale è in diminuzione. Vecchio, dicevamo, perché la distribuzione dei giornalisti attivi in Italia per fasce di età mostra un graduale e costante invecchiamento. L’8% dei lavoratori attivi ha più di 60 anni, mentre nel 2000 la percentuale era del 2%. In quell’anno più della metà dei giornalisti, il 53%, aveva meno di 40 anni, mentre la quota è scesa a circa un terzo, fino al 34%. In sostanza, in poco più di quindici anni, il giornalismo italiano è passato dall’essere una professione sostanzialmente giovane a un’attività svolta da personale più maturo, in cui un terzo ha più di cinquant’anni.
Più confortanti i numeri per quanto riguarda le donne, ma solo se si guarda alla ‘quantità’: ad aumentare è stato, infatti, il numero di donne che hanno deciso di fare le giornaliste, ma il gender gap per quanto riguarda il reddito è ancora preoccupante. Si situa nella fascia di reddito più bassa, fino a 5.000 euro all’anno, il 44% delle donne e il 41% degli uomini. All’opposto nella fascia più alta, con un reddito superiore ai 95.000 euro, si trovano il 6% delle donne e l’11% degli uomini. Inoltre, al transito orizzontale, ovvero l’ingresso nella professione di un numero cospicuo di donne, non è corrisposto un transito verticale, dalla base ai vertici della professione.
Invecchiamento e aumento del lavoro autonomo hanno portato a una maggiore precarizzazione. Negli ultimi quindici anni si è assistito a un significativo aumento delle fasce reddituali più basse, al di sotto dei 35.000 euro annui. In particolare, nel 2015, la fascia di reddito al di sotto dei 5.000 euro rappresenta oltre il 40% dei giornalisti attivi. Si arriva addirittura al 55% se si considerano i soggetti con redditi inferiori a 20.000 euro, testimoniando la presenza di una parte, oramai maggioritaria, di soggetti che lavorano in modo parziale o comunque precario. L’evoluzione della professione giornalistica in Italia appare quindi essere caratterizzata da un cambio generazionale che non avviene quasi mai e da una redistribuzione del reddito che al posto che arricchire i soggetti più deboli li impoverisce.
Le categorie
L’universo dei giornalisti attivi in Italia è pari a circa 35.600 soggetti. Un numero in contrazione negli ultimi anni, ma sufficiente a garantire un rapporto di 6 a 10.000 tra giornalisti e popolazione complessiva. Attraverso un’analisi statistica, nota come analisi dei gruppi o cluster analysis, l’Osservatorio sul giornalismo ha identificato, nella seconda edizione del suo rapporto, cinque profili omogenei di giornalisti italiani. I ‘giornalisti dipendenti’ rappresentano il gruppo più ampio, rappresentando il 23% del totale. È un gruppo composto per la quasi totalità da lavoratori dipendenti ed è popolato da soli uomini, con una retribuzione lorda prevalentemente spostata su valori medio alti: la classe reddituale compresa tra 20.000 e 75.000 euro pesa infatti per il 61,2%.
In sintesi ci sono due gruppi di lavoratori dipendenti, entrambi hanno una retribuzione medio alta e sono tutelati dal sistema di welfare in maniera soddisfacente. Lo stesso sistema che storicamente ha salvaguardato i giornalisti italiani sin dagli Anni ’70. Nell’altro estremo si collocano invece tre gruppi caratterizzati da lavoratori autonomi, sostanzialmente precari, con una retribuzione tendenzialmente molto inferiore a quella dei primi due. Va sottolineato però che il gruppo degli idealisti, rispetto agli altri quattro, comprende al suo interno persone che per scelta svolgono la professione giornalistica in via non esclusiva. Sono prevalentemente pubblicisti provenienti da altri settori, che si guardano bene da abbandonare. Sono desiderosi di dare il proprio contributo alla collettività attraverso la professione giornalistica: in poche parole lo fanno per passione o arrotondano lo stipendio principale. (continua)
di Matteo Bruzzese / 1di3
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