Il fenomeno del victim blaming, ovvero la tendenza a incolpare le vittime di violenza per le aggressioni subite, si manifesta in modo preoccupante nei commenti che circolano sui social media, specialmente in relazione a tragici eventi come i femminicidi di Sara Campanella e Ilaria Sula. Infatti, negli ultimi giorni hanno fatto parecchio discutere dei post contenti frasi denigratorie e termini come “cumcietttina” e “ipergamare”, riconducibili alla sottocultura degli incel (uomini “involontariamente celibi” che si sentono discriminati dalle donne, spesso a causa di alcune caratteristiche del loro aspetto fisico). Commenti di questo tipo non solo riducono le vittime a stereotipi superficiali, ma riflettono anche una cultura tossica che giustifica la violenza di genere. A scriverli sono spesso uomini giovani che tendono a incolpare le donne per i loro scarsi successi nella sfera relazionale e che abbracciano appieno il maschilismo tossico ben radicato in alcuni angoli del web.
Cosa significa “cumcettina”?
La parola “cumcettina” rappresenta un fenomeno linguistico e culturale che riflette una visione distorta e degradante della figura femminile. Questo termine, che trae origine da un nome comune nel sud Italia (Concettina), viene utilizzato per etichettare donne che, secondo una presunta gerarchia estetica, rifiutano uomini considerati inferiori. La connotazione negativa è amplificata dall’associazione con il prefisso “Cum” (ossia “sperma” in inglese) che evoca un’immagine di promiscuità e disprezzo. All’interno di una sottocultura in cui la bellezza e l’attrattiva fisica sono spesso elevate a valori supremi, la “cumcettina” diventa il simbolo della donna che rifiuta dei partner “pari estetici” per puntare più in alto (gesto inaccettabile agli occhi degli incel).
L’uso del termine “cumcettina” riflette una mentalità che giustifica la violenza contro le donne, come dimostrato dal tragico caso di Sara Campanella. In seguito alla sua morte, vari incel hanno provato a far ricadere la colpa su di lei, lasciando intendere che se si fosse dimostrata meno “selettiva” non le sarebbe successo nulla di male. Questo meccanismo di colpevolizzazione è emblematico di una cultura che continua a perpetuare stereotipi dannosi e a giustificare comportamenti violenti.
E ipergamare?
Il termine “ipergamare” ha assunto una connotazione negativa nel dibattito contemporaneo, spesso utilizzato per denigrare le scelte delle donne in ambito relazionale. Nell’ambito delle scienze sociali, questa parola indica “l’usanza matrimoniale secondo la quale gli appartenenti a un gruppo sociale scelgono il coniuge in un gruppo di posizione superiore al proprio”. Gli incel, come abbiamo visto, giudicano con estrema negatività le donne che scelgono di non “accontentarsi” e cercano un partner che, nel metro di giudizio usato all’interno della sottocultura, è superiore dal punto di vista estetico e/o economico.
Altri termini tipici del gergo incel
Il gergo incel è ricco di termini che riflettono le esperienze e le percezioni di chi si identifica con questo movimento. Tra questi c’è anche “femcel“, che rappresenta una variante femminile di chi si sente escluso dalle relazioni romantiche e sessuali. Sebbene le femcel siano meno comuni e spesso meno inclini a esprimere sentimenti di odio verso gli uomini, le loro esperienze di isolamento e frustrazione sono simili. Un altro termine molto gettonati è “blackpill“, che si riferisce a una visione pessimistica e fatalista della vita, in cui si crede che le circostanze sociali e biologiche siano ineluttabili e che non ci sia speranza di cambiamento. Questo concetto è spesso associato a una sorta di rassegnazione, dove gli individui si sentono intrappolati in un ciclo di impotenza. Al contrario, il termine “redpill” è utilizzato per descrivere una presa di coscienza, un risveglio che porta a una nuova comprensione delle dinamiche sociali e relazionali, spesso con un focus critico sulle norme di genere. Questi termini non solo delineano le diverse sfumature all’interno della comunità incel, ma offrono anche uno spaccato delle emozioni e delle convinzioni che caratterizzano le esperienze di chi si sente emarginato.
Termini legati all’aspetto fisico e alla “gerarchia estetica”
Secondo gli incel, l’aspetto fisico gioca un ruolo cruciale nelle dinamiche sociali e relazionali ed esisterebbe persino una “gerarchia estetica” che influisce sulle interazioni quotidiane. Al vertice della piramide c’è il “Chad“, un uomo considerato estremamente attraente, capace di attrarre con facilità l’attenzione femminile. La sua figura è spesso associata a un ideale di mascolinità che molti aspirano a raggiungere. Dall’altro lato, la “Stacy” rappresenta l’archetipo della donna attraente, ma anche superficiale, che sembra interessata solo a uomini come i Chad. Per gli incel, questi stereotipi non solo influenzano le relazioni, ma alimentano anche fenomeni di discriminazione, come il “lookism“, che penalizza chi non rientra nei canoni estetici predominanti.
Nel mezzo di questa scala sociale troviamo il “Normie“, una persona che, pur non eccellendo in bellezza, riesce comunque a instaurare relazioni. Tuttavia, la frustrazione di chi si sente escluso da questo sistema porta a concetti come la “blackpill“, una visione pessimista che sostiene che il successo relazionale sia determinato esclusivamente dalla genetica e dall’aspetto fisico. In contrapposizione, il “redpill” offre una lettura delle dinamiche uomo-donna che, sebbene possa sembrare rivelatrice, è spesso utilizzata in contesti maschilisti. Al contrario, il “bluepill” rappresenta una visione romantica e ingenua dell’amore, tipica di chi ignora le dure realtà del mondo moderno.
In questo contesto, termini come “ascension” descrivono il percorso di chi riesce a migliorare la propria condizione sociale e relazionale; mentre “jawcel” e “heightcel” evidenziano insicurezze specifiche legate a specifici tratti fisici (nella fattispecie la forma della mascella e l’altezza). Questi termini non solo riflettono le ansie individuali ma anche una cultura che continua a valorizzare l’aspetto esteriore creando un ciclo di aspettative e pressioni che può risultare opprimente per molti.
Altri termini
Nel panorama linguistico contemporaneo, emergono termini che riflettono una visione distorta delle relazioni tra i generi, contribuendo a perpetuare stereotipi e pregiudizi. Il termine “foid“, ad esempio, è un chiaro esempio di disumanizzazione, utilizzato per ridurre la figura femminile a un mero oggetto, privandola della sua complessità e individualità. Allo stesso modo, “roe” o “roid” rappresentano variazioni di questo linguaggio dispregiativo, evidenziando una tendenza a denigrare le donne attraverso etichette che ne minano l’autonomia e il valore.
Un altro termine che ha guadagnato popolarità è “friendzoned“, che descrive una situazione in cui un uomo spera in una relazione romantica, ma la donna è interessata solo a un’amicizia. Questo concetto non solo riduce le donne a oggetti di desiderio, ma alimenta anche un senso di frustrazione e risentimento nei confronti di chi non corrisponde alle aspettative romantiche.
In un contesto simile, “cucked” e “betabuxx” si riferiscono a uomini percepiti come deboli o sfruttati, evidenziando una dinamica di potere che si basa su una visione tossica della mascolinità.
Il “gymcel” è l’uomo che tenta di sopperire ai suoi limiti estetici allenandosi in palestra, senza però riuscire a ottenere i risultati sperati. “Rope” è forse il termine più macabro del gergo incel, perché allude al suicidio e lascia intendere che chi lo sta usando si sente talmente disperato da non vedere altre vie di fuga (tuttavia può essere usato anche con accezione sarcastica).