Congedo di paternità triplicato dal 2013, ma il 35% dei padri non lo utilizza - Pexels @Josh Willink - Alanews.it
Nel panorama della genitorialità italiana, il congedo di paternità ha subito un significativo incremento dal 2013 ad oggi, ma ci sono ancora aspetti critici da affrontare. Secondo un’analisi condotta dall’INPS e da Save the Children, in occasione della Festa del Papà, emerge un quadro complesso e variegato che merita di essere esplorato in profondità.
L’analisi rivela il profilo del padre che tende a usufruire del congedo: tipicamente vive al Nord, ha un contratto di lavoro stabile e un reddito compreso tra i 28.000 e i 50.000 euro. Questo dato rappresenta una parte significativa della popolazione paterna, ma riflette anche una realtà sociale e lavorativa che è ancora lontana dall’essere inclusiva per tutti i padri. Infatti, nonostante il congedo di paternità sia stato introdotto nel 2012 e ampliato negli anni, il 35% dei padri aventi diritto non lo utilizza.
L’evoluzione del congedo di paternità è stata marcata da un trend positivo: l’utilizzo è salito dal 19,2% nel 2013 al 64,5% nel 2023. Tuttavia, questa crescita ha mostrato un rallentamento negli ultimi anni, con un incremento di solo 0,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Questo evidenzia che, sebbene ci sia una maggiore consapevolezza e accettazione del ruolo paterno, ci sono ancora barriere culturali e pratiche che impediscono a molti padri di approfittare di questo diritto.
Secondo Gabriele Fava, presidente dell’INPS, il congedo di paternità non è solo una misura di welfare; ha effetti concreti sulla vita familiare e professionale. Favorire un legame precoce tra padre e figlio, infatti, ha ricadute positive sulla relazione a lungo termine, contribuendo a un equilibrio più equo delle responsabilità familiari. Tuttavia, è chiaro che per raggiungere una vera parità di genere in ambito familiare, è necessario un impegno continuo per sensibilizzare e promuovere l’uso di questo congedo.
Un’analisi dei dati mostra anche che a usufruire maggiormente del congedo sono i padri con contratti a tempo indeterminato, con una percentuale che si attesta intorno al 70%. Al contrario, solo il 40% dei padri con contratti a tempo determinato e appena il 20% di quelli con contratti stagionali riescono a fruirne. È evidente che la precarietà lavorativa non solo incide sulla capacità di pianificare la propria vita familiare, ma anche sulla possibilità di dedicarsi attivamente alla cura dei figli.
Un’altra variabile significativa è rappresentata dal reddito. I padri con un reddito compreso tra i 28.000 e i 50.000 euro mostrano un tasso di utilizzo del 83%, mentre per quelli con redditi superiori ai 50.000 euro il tasso scende all’80%. Questo potrebbe sembrare controintuitivo, ma riflette una complessità di scelte familiari e professionali dove coloro che guadagnano meno potrebbero avere una minore flessibilità economica per assentarsi dal lavoro, mentre i più benestanti potrebbero sentirsi più vincolati dalle aspettative professionali.
La dimensione aziendale gioca un ruolo cruciale. I padri che lavorano in aziende con più di 100 dipendenti hanno il doppio delle probabilità di usufruire del congedo rispetto a quelli che lavorano in piccole imprese. Questo potrebbe essere dovuto a politiche aziendali più favorevoli e a una cultura aziendale che valorizza la genitorialità, creando un ambiente di lavoro più inclusivo.
L’analisi territoriale presenta uno scenario ancora più complesso. Al Nord, il congedo di paternità è utilizzato dal 76% dei padri aventi diritto, mentre al Sud e nelle Isole la percentuale scende drasticamente al 44%. Questo squilibrio mette in evidenza le differenze socio-economiche e culturali che esistono all’interno del paese.
In questo contesto, l’appello di Save the Children per un’iniziativa di sensibilizzazione e per un potenziamento della misura è più che mai attuale. Come sottolinea Daniela Fatarella, la direttrice generale dell’organizzazione, un congedo di paternità più lungo e accessibile a tutti i lavoratori, non solo a quelli dipendenti, è fondamentale per promuovere una genitorialità condivisa e per abbattere gli stereotipi di genere. Investire in questa direzione non solo avvantaggia i singoli individui, ma contribuisce a costruire una società più equa e giusta, in cui la cura dei figli sia una responsabilità condivisa e non un onere esclusivo delle madri.
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