Nuova tassa statunitense preoccupa gli armatori italiani più dei dazi
Una nuova tassa statunitense preoccupa gli armatori italiani più dei dazi. Annunciata da Trump, colpirà le navi cinesi con costi fino a 1,5 milioni di dollari per ogni attracco. Gli effetti sui traffici globali potrebbero essere devastanti, avvertendo esperti e spedizionieri.
Un nuovo incubo si profila all’orizzonte per gli armatori italiani. Mentre il mondo si adatta alle politiche commerciali dell’amministrazione Trump, una tassa sulle navi costruite in Cina si sta rivelando una preoccupazione ben più grave dei dazi già imposti. Questa nuova misura, se attuata, potrebbe avere ripercussioni devastanti per l’intero settore marittimo, influenzando non solo i costi delle spedizioni, ma anche la logistica e la competitività dei porti americani.
L’annuncio di questa tassa è arrivato pochi giorni dopo l’insediamento del presidente Trump, e prevede che ogni nave di fabbricazione cinese che attracca in un porto americano debba versare una somma che può raggiungere i 1,5 milioni di dollari. Questo tentativo di tutelare l’industria cantieristica americana ha suscitato ondate di preoccupazione tra gli operatori del settore. La tassa non si limita solo alle navi di costruzione cinese, ma colpisce anche le compagnie che utilizzano navi gestite da aziende cinesi, imponendo costi aggiuntivi considerevoli.
Secondo le stime fornite dal centro studi di Confitarma, il 17% della flotta italiana è attualmente costruito in Cina, ma la situazione è destinata a peggiorare. Infatti, l’89% delle nuove navi in consegna entro il 2028 sarà prodotto in cantieri cinesi. Questo significa che gli armatori italiani si trovano in una posizione particolarmente vulnerabile nel contesto di questa nuova imposizione fiscale. Le simulazioni indicano che una portacontainer di 10.000 TEU (l’unità standard nel trasporto marittimo) potrebbe affrontare costi aggiuntivi tra i 400 e i 600 dollari per ogni container trasportato, a fronte di viaggi che prevedono più scali negli Stati Uniti.
L’impatto non si limita ai costi diretti delle navi. Le ripercussioni si estendono a tutta la catena logistica, portando a un aumento generale dei prezzi e a un possibile ripensamento delle rotte commerciali. Gli spedizionieri e le compagnie di navigazione potrebbero trovarsi costretti a rivedere le loro strategie, eliminando gli scali nei porti più piccoli per concentrarsi solo su quelli maggiori come New York e Los Angeles, o addirittura spostando le operazioni in Canada e Messico per evitare la tassa.
Le conseguenze di questa tassa potrebbero essere devastanti anche per l’occupazione nei porti americani più piccoli. La necessità di ridurre i costi potrebbe portare a un abbandono di questi scali, con effetti diretti sull’occupazione locale e sull’economia delle comunità portuali. Le aziende americane che desiderano esportare i propri prodotti potrebbero dover affrontare aumenti nei costi di trasporto, dovendo percorrere distanze maggiori per raggiungere i porti principali. Questo scenario potrebbe riflettersi in un aumento dei prezzi per i consumatori, già messi a dura prova da un’inflazione crescente.
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