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FRIDAYS FOR BOYCOTT, in Croazia la lotta dei cittadini contro l’inflazione

Scaffali vuoti, corridoi desolati e parcheggi deserti: è di nuovo venerdì nei supermercati della Croazia

In un 2025 in cui cade l’ombra sui Fridays for Future che devono combattere il declino di visibilità, in Croazia si sta facendo strada un nuovo movimento: “Halo, Inspektore!”. Dal 24 gennaio, il venerdì è diventato il giorno dello sciopero della spesa contro l’inflazione. L’iniziativa, che per simpatica coincidenza di giornata potrebbe essere definita “Fridays for Boycott”, invita i cittadini a non acquistare nulla e a evitare banche, uffici postali, ristoranti, negozi, centri commerciali e stazioni di servizio. Molti croati, infatti, preferiscono oltrepassare i confini nazionali per fare acquisti più convenienti.

Dopo due anni di aumenti incontrollati dei prezzi, i cittadini hanno deciso di reagire con un gigantesco boicottaggio che denuncia il carovita. Non frequentare i negozi è diventato il loro modo di smascherare l’inflazione più alta nella zona dell’euro. A dicembre 2024, la Croazia ha registrato un tasso di inflazione del 4,5%, ben al di sopra della media europea del 2,4%. A gennaio 2025, il tasso ha raggiunto il 5%, superando l’Ungheria (4,8%) e tenendo dietro la Romania (5,5%).

L’iniziativa è partita sul gruppo Facebook “Halo, Inspektore!” da Josip Kelemen e ha ricevuto il sostegno del Centro Europeo dei Consumatori, di diverse associazioni di tutela dei consumatori, sindacati, partiti politici e persino del ministro dell’economia, Ante Šušnjar. La protesta si concentra contro i rincari, in particolare nel settore del commercio al dettaglio. Negli ultimi tre anni, i prezzi degli alimentari sono aumentati di oltre il 30%, con alcuni beni di consumo primario che hanno visto un raddoppio: il pane è salito del 44%, le uova del 55%.

Ciò spiega l’alta partecipazione allo sciopero della spesa. I dati dell’Amministrazione fiscale sul numero di fatture emesse il venerdì rivelano i primi successi del boicottaggio: il 24 gennaio i commercianti hanno registrato un calo del 53% delle vendite nei supermercati rispetto al venerdì precedente; il 7 febbraio il calo è stato del 30%.

Tuttavia, tali numeri vanno usati con cautela, considerando che la maggior parte delle persone ha solo rimandato i propri acquisti al giovedì o al sabato. Inoltre, le proteste potrebbero avere effetti negativi, come la riduzione degli ordini ai produttori locali da parte dei rivenditori. Per ovviare a queste limitazioni, il gruppo è già alla ricerca di nuove strategie, tra cui il boicottaggio di singole catene di supermercati per un’intera settimana.

Al momento, le loro azioni hanno spinto il governo a calmierare i prezzi di 70 prodotti di prima necessità, come zucchero e pane, per evitare che la situazione si intensifichi. Anche Konzum, la principale catena distributiva del Paese, ha annunciato il congelamento o la diminuzione dei prezzi di 250 prodotti per quattro mesi. Di pari passo, la tedesca Kaufland, presente in Croazia, ha deciso di abbassare i prezzi di oltre 1000 prodotti. Ma queste misure non sono sufficienti a calmare l’indignazione dei consumatori. Secondo l’Istituto statistico croato, infatti, i cittadini spendono circa il 27% del loro reddito per il cibo, una percentuale decisamente alta rispetto alla media europea del 13,6%.

Mentre i consumatori puntano il dito contro l’introduzione dell’euro nel 2023 e accusano i negozianti di alzare i prezzi ogni estate senza essere sottoposti a reali controlli fiscali, secondo gli esperti è solo una parte della verità. I prezzi elevati sono dovuti a numerosi fattori, tra cui il peso delle tasse.

Come riportato da Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, l’economista della Zagreb School of Economics and Management, Vedrana Pribičević, ha affermato: “Bisogna considerare che nel 2024 la spesa pubblica è aumentata drasticamente a causa soprattutto del fatto che quell’anno abbiamo avuto tre tornate elettorali e il governo ha aumentato di molto gli stipendi nel settore pubblico. Prima erano cresciuti i salari anche nel privato, come conseguenza della grande mancanza di manodopera in questo paese. Fino all’invasione russa dell’Ucraina, l’inflazione in Croazia era del 2% o anche meno e il turismo c’era già”.

Dunque, l’inflazione in Croazia si configura come l’ennesimo effetto collaterale dell’invasione russa in Ucraina, un fenomeno che continua a rimodellare gli equilibri economici e politici dell’Unione Europea. In questo scenario, resta ambigua la posizione del presidente socialdemocratico Zoran Milanović, il cui orientamento politico sembra deviare sempre più verso il populismo di destra. Una dinamica da non sottovalutare dato che, come avverte il politologo australiano Benjamin Moffitt, il populismo può emergere tanto come reazione a una crisi quanto come catalizzatore della stessa. E nel contesto di inflazione che sta attraversando la Croazia, il governo appare consapevole di questo meccanismo, alimentando una narrativa che concentra la sfiducia degli elettori sui rivenditori, anziché sulle proprie politiche economiche.

La tattica del boicottaggio convince meno l’analista economico Damir Novotny che ha dichiarato all’agenzia di stampa Hina che né i consumatori né il governo possono influenzare l’inflazione con questo tipo di azioni. Secondo Novotny, le proteste collettive non hanno avuto alcun impatto sull’andamento dei prezzi e le riforme che il governo potrebbe adottare per ridurre l’inflazione a lungo termine necessitano tempo.

Per ora, i cittadini croati continuano la campagna di boicottaggio anche sui social, mostrando la differenza di prezzi degli stessi prodotti tra i supermercati locali e i supermercati esteri. Le città slovene al confine, come Brežice, dove l’IVA su molti alimenti è solo del 9,5%, contro il 25% dell’IVA croata, sono diventate negli ultimi mesi il paradiso dello shopping per i croati che si muovono da Zagabria e dintorni. Alcuni ricordano i tempi del socialismo, quando negli anni ’60 e ’70 Trieste era la mecca dello shopping per acquistare blue jeans, caffè e altri beni.

“Halo, Inspektore!” è un movimento che potrebbe diffondersi in altri paesi. Nelle ultime settimane, sono stati organizzati boicottaggi simili anche in Serbia, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord e Kosovo. In merito a questa iniziativa, il primo ministro del Montenegro, Milojko Spajić, ha già dichiarato in un’intervista televisiva: “Come cittadino, sostegno tale azione”.

Nicoletta Totaro

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