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Il Consiglio d'Europa invita la Turchia a porre fine agli arresti dei sindaci

Il Consiglio d’Europa ha recentemente lanciato un appello alla Turchia affinché cessi la pratica degli arresti e delle destituzioni dei sindaci eletti. Questo tema ha sollevato preoccupazioni a livello internazionale riguardo alla democrazia e al rispetto dei diritti umani nel Paese. La questione è emersa in modo prepotente durante la sessione plenaria del Congresso dei poteri locali e regionali dell’organizzazione, dove è stata adottata una dichiarazione quasi all’unanimità intitolata “La destituzione dei sindaci in Turchia”.

La posizione del Consiglio d’Europa

Nella dichiarazione, il Congresso ha sottolineato che le autorità turche “devono smettere di incriminare e detenere i rappresentanti eletti dei partiti di opposizione” sulla base di interpretazioni estensive dei reati di terrorismo o diffamazione. Inoltre, il testo richiede l’abolizione della pratica di destituire sindaci, una misura che, secondo i membri del Congresso, ha come obiettivo principale quello di “soffocare il pluralismo e limitare la libertà del dibattito politico”.

Il documento ha evidenziato in particolare il caso di Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul, la cui detenzione è stata descritta come parte di una “campagna di accanimento giudiziario” iniziata dopo la sua elezione nel 2019. Le autorità turche hanno accusato Imamoglu di aver insultato funzionari pubblici, mentre i suoi sostenitori affermano che queste accuse siano motivate politicamente.

Il contesto degli arresti e delle destituzioni

Dal 2016, in Turchia sono stati licenziati quasi 150 sindaci, molti dei quali sono stati sostituiti da amministratori fiduciari nominati dal governo centrale. Questo fenomeno ha sollevato gravi interrogativi sulla legittimità delle elezioni locali e sull’indipendenza del potere locale. Le destituzioni sono avvenute in un contesto di crescente repressione contro l’opposizione politica, che ha visto un aumento delle misure di sicurezza e un’erosione delle libertà civili.

Le autorità turche giustificano tali azioni come necessarie per combattere il terrorismo e preservare l’ordine pubblico. Tuttavia, critici e osservatori internazionali sostengono che queste misure siano utilizzate come strumenti di controllo politico, mirati a silenziare le voci dissenzienti e a mantenere il potere da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan e del suo partito, l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo).

Le reazioni internazionali

La dichiarazione del Consiglio d’Europa ha ricevuto supporto da vari gruppi per i diritti umani e da organizzazioni internazionali, che hanno espresso preoccupazione per la situazione dei diritti umani in Turchia. Human Rights Watch e Amnesty International hanno entrambe condannato gli arresti dei sindaci, definendoli una violazione dei diritti politici e civili.

La comunità internazionale ha anche invitato il governo turco a rispettare gli impegni assunti in virtù della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, di cui la Turchia è parte. L’adozione di questa convenzione prevede il rispetto della libertà di espressione e il diritto di partecipare a libere elezioni, principi che sembrano essere compromessi dalla situazione attuale.

Prossimi passi del Consiglio d’Europa

Il Congresso del Consiglio d’Europa ha annunciato che intende inviare una delegazione in Turchia per confrontarsi con le autorità locali e incontrare i sindaci detenuti. Questo incontro è visto come un’opportunità per discutere le preoccupazioni sollevate dalla comunità internazionale e per cercare di promuovere un dialogo costruttivo tra le parti.

Le autorità turche, da parte loro, hanno risposto alle critiche internazionali affermando che le loro azioni sono giustificate dalla necessità di mantenere la sicurezza nazionale. Tuttavia, la crescente pressione da parte della comunità internazionale potrebbe portare a una revisione delle politiche attuali, in particolare in vista delle prossime elezioni e del crescente malcontento tra la popolazione turca.

Redazione

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