Il cervello di una persona che soffre di Alzheimer messo a confronto con uno normale | Photo by Avinash Chandra, George Dervenoulas & Marios Politis for the Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative licensed under CC BY 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/deed.en) - Alanews.it
Un farmaco sperimentale, gantenerumab, sta attirando l’attenzione nel campo della ricerca sull’Alzheimer, grazie ai suoi risultati promettenti nel ritardare l’insorgenza della malattia in individui geneticamente predisposti. Uno studio condotto dalla Washington University School of Medicine di St. Louis suggerisce che questo trattamento potrebbe rappresentare una svolta nella lotta contro una delle forme più devastanti di demenza.
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce milioni di persone in tutto il mondo e, purtroppo, è spesso diagnosticata in fase avanzata, quando il danno cerebrale è già significativo. Le placche di beta-amiloide, una sostanza tossica che si accumula nel cervello, giocano un ruolo cruciale nello sviluppo della malattia. Il gantenerumab agisce proprio su queste placche, contribuendo a rimuoverle dal cervello e, di conseguenza, a ridurre il rischio di demenza.
Lo studio, pubblicato sulla rivista The Lancet Neurology, ha coinvolto 73 partecipanti con rare mutazioni genetiche che causano una produzione eccessiva di amiloide, portando a un esordio precoce della malattia. Tra questi, un sottogruppo di 22 persone che non presentava problemi cognitivi all’inizio del trattamento ha ricevuto gantenerumab per un periodo medio di otto anni. I risultati sono stati sorprendenti:
Randall Bateman, autore principale dello studio, ha sottolineato l’importanza di questi risultati, affermando che “tutti i partecipanti erano destinati a sviluppare la malattia di Alzheimer, ma alcuni di loro non hanno ancora mostrato segni di deterioramento cognitivo”.
Il gantenerumab non è l’unico farmaco in fase di sviluppo, ma i dati ottenuti finora pongono interrogativi sul futuro della ricerca. Gli scienziati stanno ora indagando su quanto a lungo questi pazienti possano rimanere senza sintomi e se il trattamento possa essere combinato con altri farmaci anti-amiloide per massimizzare i benefici. Bateman ha menzionato la possibilità di continuare il trattamento con un ulteriore anticorpo anti-amiloide, nella speranza che i pazienti non sviluppino mai sintomi.
L’importanza di questo studio va oltre i risultati immediati, offrendo una nuova prospettiva sulla tempistica e sull’approccio al trattamento dell’Alzheimer. Tradizionalmente, la terapia è iniziata solo dopo la comparsa dei sintomi, ma ora si apre la strada a un intervento precoce, potenzialmente in grado di cambiare radicalmente il decorso della malattia.
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