Una protesta degli Houthi | Photo by Henry Ridgwell (VOA) - Alanews.it
Il conflitto yemenita continua a essere un teatro di scontro tra potenze regionali e attori non statali, con conseguenze umane sempre più gravi. Recentemente, una serie di attacchi aerei condotti dagli Stati Uniti contro le forze Houthi ha portato a un bilancio tragico di almeno 31 morti e oltre 100 feriti, secondo quanto comunicato dal ministero della Salute dei ribelli. Questi raid hanno avuto luogo in diverse località strategiche, tra cui la capitale Sanaa e i governatorati di Saada e Al-Bayda, sollevando interrogativi sulla stabilità della regione e sull’impatto delle politiche militari statunitensi.
Il conflitto in Yemen, che dura ormai dal 2014, ha visto le forze Houthi, sostenute dall’Iran, opporsi a un governo riconosciuto a livello internazionale, sostenuto da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Gli Houthi hanno intensificato le loro operazioni militari, in particolare nel Mar Rosso, dove hanno lanciato oltre 100 attacchi contro navi che considerano legate a Israele, agli Stati Uniti e al Regno Unito. Questa escalation è stata giustificata dai ribelli come una manifestazione di solidarietà verso i palestinesi, in risposta agli eventi in corso a Gaza.
Le operazioni militari americane, descritte come il primo attacco contro i ribelli yemeniti sotto la seconda amministrazione Trump, sono state condotte esclusivamente dagli Stati Uniti. La Casa Bianca ha diffuso immagini di Donald Trump che assiste ai raid, evidenziando un approccio diretto e personale alla questione. L’attacco ha suscitato forti reazioni, sia a livello locale che internazionale.
Il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha avuto conversazioni con il suo omologo russo, Serghiei Lavrov, riguardo alla situazione in Yemen. Durante questi incontri, Rubio ha sottolineato che gli attacchi degli Houthi contro le navi statunitensi e commerciali nel Mar Rosso non saranno tollerati. La Russia, che in passato aveva considerato l’idea di fornire armi agli Houthi, ha fatto marcia indietro sotto la pressione di Washington e Riyad, indicando una complessità nelle alleanze regionali.
Dall’altro lato, l’Iran ha risposto energicamente agli attacchi americani. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha affermato su X che gli Stati Uniti “non hanno il diritto di dettare” la politica estera dell’Iran. Questa dichiarazione è stata accompagnata da una condanna degli attacchi aerei come violazioni della sovranità nazionale e dei principi della Carta delle Nazioni Unite. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha accusato gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Occidente di perpetuare instabilità nella regione attraverso il loro sostegno a Israele, e ha descritto gli attacchi come parte di un più ampio “genocidio” del popolo palestinese.
Le Guardie rivoluzionarie iraniane hanno anche rilasciato dichiarazioni minacciose, avvertendo che l’Iran risponderà a qualsiasi attacco militare. Il comandante Hossein Salami ha sottolineato che l’idea che l’Iran si piegherà alla volontà degli Stati Uniti attraverso l’intimidazione è errata. Ha chiarito che l’Iran non dirige le politiche dei gruppi di resistenza nella regione, compresi gli Houthi, ma rimarrà vigile e pronto a rispondere a qualsiasi minaccia.
Le tensioni tra Stati Uniti, Iran e Houthi rappresentano una dinamica complessa che ha ripercussioni su tutta la regione del Medio Oriente. La presenza militare americana nel Golfo Persico e le sue operazioni contro i ribelli Houthi non solo intensificano il conflitto in Yemen, ma possono anche innescare una reazione a catena di violenze che coinvolge attori statali e non statali. Gli Houthi, infatti, possono intensificare le loro operazioni militari in risposta ai raid, creando un ciclo di violenza che potrebbe sfociare in ulteriori atti di aggressione.
Il conflitto in Yemen ha già provocato una delle crisi umanitarie più gravi al mondo. Con decine di migliaia di morti e milioni di persone sfollate, la situazione è ulteriormente complicata da attacchi come quelli recenti. Gli ospedali, già sotto pressione, si trovano ora a dover gestire un numero ancora maggiore di feriti, mentre le forniture di aiuti umanitari continuano a essere ostacolate dalla guerra. L’instabilità politica e militare rende difficile l’accesso ai servizi essenziali, contribuendo a un deterioramento delle condizioni di vita per la popolazione civile.
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